| Policano |
| | CITAZIONE DOPO TANTO PARLARE DI SICUREZZA, GOVERNO SPIAZZATO DAGLI ULTRÀ
DI QUESTO CALCIO POSSIAMO BENISSIMO FARE A MENO
Come ha scritto Claudio Magris, «è giusto punire le violenze di rapinatori e terroristi, ma occorre punire più duramente chi delinque in nome di una squadra di calcio, con l'aggravante dei motivi futili e abbietti».
Dopo le devastazioni e le violenze con cui i tifosi del Napoli hanno tenuto a battesimo, domenica 31 agosto, il nuovo campionato di calcio, mettendo a ferro e fuoco la stazione del capoluogo campano, si è deciso di proibire loro le trasferte. Buona decisione. Ma limitata e tardiva. Nel novembre 2007, dopo la domenica di follia, per la morte del tifoso laziale Gabriele Sandri, raggiunto da un colpo di pistola di un agente di polizia in un autogrill vicino ad Arezzo, l’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive aveva già proposto di vietare le trasferte di massa dei tifosi organizzati.
Passano i ministri, cambiano i Governi, ma gli ultrà godono della stessa impunità. Dopo ogni domenica di fuoco, ci ritroviamo a riascoltare i soliti proclami baldanzosi dei politici, cui però seguono flebili provvedimenti, scarcerazioni a tempo di record, condanne simboliche. Il calcio non si tocca! Con i suoi colossali interessi economici, è meglio blandirlo, coccolarlo, perdonarlo e... magari comprarlo: i tifosi sono tanti, e votano (non sono rom o extracomunitari!). Nel febbraio dello scorso anno, all’indomani dell’uccisione dell’ispettore Raciti nel derby Catania-Palermo, il presidente della Lega calcio Matarrese, a chi invocava di bloccare il campionato o giocare a porte chiuse, aveva replicato: «Lo spettacolo deve continuare. Questa è un’industria tra le più importanti d’Italia, che paga i suoi prezzi». Ma può una società civile offrire al "dio calcio" morti, feriti, treni devastati e città messe a soqquadro?
A maggior ragione oggi, con un Governo che ha vinto le elezioni sulla sicurezza e fa della "tolleranza zero" la sua missione. Che stecca, però: davvero strano che si sia fatto sorprendere dai gravi fatti di Napoli! Sarà perché troppo impegnato a censire e schedare rom o a respingere gli immigrati, additati come "il pericolo numero 1" del Paese? Non sarebbe meglio per la sicurezza, contrastare più duramente la violenza che prospera impunita e tollerata attorno al calcio? Perché questa "zona franca"? Né si può essere forti e arroganti con i deboli (rom e immigrati), e pavidi e impotenti con chi tiene in scacco lo Stato e detta le sue leggi in vaste zone del Sud (vedi camorra, ’ndrangheta e mafia).
Eppure, i dati della stagione calcistica 2007-2008 sono pesanti: 144 incontri con incidenti, 161 feriti tra i tifosi, 200 tra le forze dell’ordine, 292 arresti, 999 denunce. Ma guai a chiamarla emergenza! Il giocattolo calcio non si tocca, neppure se il capitano della Nazionale campione del mondo, Fabio Cannavaro, dice: «Io oggi non porterei i miei figli in uno stadio italiano».
Per far apparire più sicure le nostre città ci si è inventato di tutto: dal censimento dei rom ai tremila soldati sparpagliati su tutto il territorio nazionale. Forse, sarebbe meglio se il volenteroso Maroni censisse questi violenti e incivili ultrà, e prendesse loro le impronte digitali. E arrivasse a sciogliere le tifoserie organizzate, anche se ciò può dispiacere ai padroni del "circo calcistico", tra i quali si nascondono complici, favoreggiatori e pavidi. Perché non andare a lezione da chi questi problemi li ha affrontati meglio di noi? In Inghilterra, ad esempio, gli hooligans sono stati ridotti a "merce da esportazione".
Infine, se si pensa che per gli immigrati la clandestinità sia un’aggravante, dovrebbe esserlo altrettanto la violenza per chi trasforma le manifestazioni sportive in guerriglia. Se il calcio è quello visto alla prima di campionato, possiamo benissimo farne a meno. Oltretutto, costi e stipendi dei calciatori (anche mediocri) sono ormai "immorali": un vero schiaffo alla povertà del Paese. http://www.sanpaolo.org/fc/0837fc/0837fc05.htmSiccome molte volte sono disarmato vicino a queste affermazioni e penso che l'ignoranza(che ignora)delle persone non conosce confini,condizioni sociali e etichette,ho pensato per un'attimo di riprendere discorsi millenari,sui quali questi bigotti strumnentalizzano all'ennesima potenza. CITAZIONE È l'alba di un nuovo giorno e Gesù, scrive il vangelo di Giovanni (8,1-11), sta di nuovo nel tempio a insegnare. Una calca di gente lo circonda. Improvvisamente il cerchio degli ascoltatori viene aperto da un gruppo di scribi e farisei che spingono davanti a loro una donna sorpresa in adulterio. La trascinano, gettandola in mezzo al cerchio, proprio davanti a Gesù, e gli chiedono se si debba o no applicare la legge di Mosè. Questa legge, dicono, impone di «lapidare donne come questa» (gli scribi e i farisei si riferiscono alle disposizioni contenute nel Levitico, 20,10; e nel Deuteronomio, 22,22-24; che prevedono la morte per gli adulteri). Ma non sono mossi dallo zelo per la legge, tanto meno sono interessati al dramma di quella donna. Vogliono tendere un tranello al giovane profeta di Nazaret per screditarlo davanti alla gente che sempre più numerosa corre ad ascoltarlo. Se condanna la donna, ragionano, va contro la tanto conclamata misericordia; se la perdona, si mette contro la legge. In ambedue i casi ne esce sconfitto. Gesù, chinatosi, si mette a «scrivere con il dito per terra». È un atteggiamento strano: Gesù sta in silenzio, come farà durante la passione davanti a personaggi come Pilato ed Erode. Il Signore della parola, l'uomo che aveva fatto della predicazione la sua vita e il suo servizio fino alla morte, ora tace. Si china e si mette a scrivere nella polvere. Non sappiamo cosa Gesù scrive e cosa pensa in quel momento; possiamo invece immaginare i sentimenti indispettiti dei farisei e forse intuire cosa c'è nel cuore di quella donna la cui speranza di sopravvivenza è legata a un uomo da cui, peraltro, non esce né una parola, né un cenno. Dietro l'insistenza dei farisei Gesù alza il capo e pronuncia una frase che getta un poco di luce sui loro pensieri: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» (v. 7). E si china di nuovo a scrivere per terra. La risposta disarma tutti. Colti nel segno da queste parole, «se ne vanno uno per uno cominciando dai più anziani fino agli ultimi» (v. 9), nota con arguzia l'evangelista. Rimane solo Gesù con la donna. Si trovano l'una davanti all'altro, la miseria e la misericordia. A questo punto Gesù riprende a parlare; lo fa come di solito, con il suo tono, la sua passione, la sua tenerezza, la sua fermezza. Alza la testa e chiede alla donna: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella risponde: «Nessuno, Signore». La parola di Gesù diviene profonda, per nulla indifferente, anzi piena di misericordia. È una parola buona, di quelle che solo il Signore sa pronunciare: «Neanche io ti condanno; va'e d'ora in poi non peccare più» (v. 11). Gesù era l'unico che avrebbe potuto alzare la mano e lanciare le pietre per lapidarla; l'unico giusto. La prese per mano e l'alzò da terra; in verità la sollevò dalla sua condizione di miseria, e la rimise in piedi: non era venuto per condannare, e tanto meno per consegnare alla morte per lapidazione; è venuto per parlare e per rialzare alla vita. Dice a quella donna: «Va'», come dire: ritorna alla vita, riprendi il tuo cammino. E aggiunge: «Non peccare più», ossia: percorri la via sulla quale ti ho posto, la via della misericordia e del perdono. La cosiddetta faccia da culo
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